L’ESPERIENZA DELLA FEDE: NOI E DIO

“La pastorale familiare «deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa, ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi, anche nei paesi più secolarizzati»” (AL 201).

 

COMMENTO AL VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (8, 5-10.13)

Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».

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 OBIETTIVI DELL’INCONTRO

  • Comprendere cosa vuol dire “fede”
  • Saper riconoscere le caratteristiche di una fede antropologica, di base;
  • Prendere consapevolezza della propria immagine di Dio
  • Ritrovare nel proprio cammino di fede difficoltà ed obiettivi maturati
  • Riconoscere che la fede ha varie dimensioni ed è una scelta personale condivisa nella comunità

CONTENUTI PRINCIPALI

I contenuti che permettono di raggiungere gli obiettivi e caratterizzano l’incontro possono essere vari. Qui si presentano un elenco di possibili nuclei e alcuni esempi di sviluppo di questi contenuti:

  • La cristianità nel post-moderno
  • L’immagine di Dio lungo la vita
  • La fede di base, antropologica
  • La fede come dialogo d’amore di Dio e risposta dell’uomo
  • La dimensione ecclesiale della fede
  • La fede è accogliere un significato per la vita
  • Il kerygma cristiano
  • La fede illumina la vocazione alla vita a due nel matrimonio

PROPOSTE E SUGGERIMENTI PRATICI

  • Il tema fede deve essere trasversale a tutto l’itinerario, la fede non si può dare per scontata, e quindi va avviata e proposta tenendo conto delle opportunità che maturano dentro il gruppo via via che si riesce a conoscere i vissuti, le esperienze, i desideri, le disponibilità dei partecipanti.
  • Favorire momenti di confronto e conviviali al di fuori del percorso, per approfondire la propria fede.

Strumenti operativi

Per saperne di più

PER APPROFONDIRE

La cristianità nel post-moderno

La geografia religiosa oggi è in gran movimento e la scelta della fede è messa a confronto ravvicinato con i fedeli di altre religioni e con la non credenza. Anche i credenti o meglio quella larga parte della popolazione che dichiara un’appartenenza cattolica (76%) si rivela articolata e differenziata. Può essere un primo punto di riferimento la tipologia dei cattolici proposta dal cardinal Carlo Maria Martini che affermava che ci sono “i cristiani della linfa, vi sono quelli del tronco, della corteccia e infine coloro che come muschio stanno attaccati solo esteriormente all’albero”. Dalla ricerca sociologica [1] emergono quattro profili di adesione al cattolicesimo:

  • i “cattolici convinti e attivi” (22,5%) che si rivelano una quota stabile di cattolici che condividono una visione cristiana della realtà e sono impegnati, partecipano alle celebrazioni e si impegnano nei progetti ecclesiali e di volontariato;
  • i “cattolici convinti ma non sempre attivi” (29,8%) forma un gruppo caratterizzato più dal cattolicesimo delle intenzioni che del vissuto e che è andato negli anni diminuendo;
  • i “cattolici per tradizione e cultura” (43,6%), gruppo che cresce e dove si trovano coloro che sono mossi da ragioni di tradizione e di cultura, che reagiscono al pluralismo affinando la propria identità culturale, o quelli che trovano nel cristianesimo l’affermazione dei valori che premono e tengono insieme un popolo.
  • i “cattolici selettivi o critici” (3,8%) dove si trova una minoranza vivace e critica nei confronti dell’istituzione ecclesiastica che attualmente è ai minimi storici.

Si consideri anche un fenomeno oggi importante: una parte di individui si definiscono preferibilmente persone “spirituali” piuttosto che “religiose”. Mentre il 28% degli italiani si dichiara estranea a questa dimensione, “oltre il 70% presta attenzione a questa sfera dell’esistenza, pur con sensibilità diverse. Prevalgono tre tipi di ricerca o tensione spirituale. La più diffusa (espressa dal 27,4% della popolazione) risulta di matrice laica o profana, tipica di una spiritualità intesa «come ricerca dell’armonia personale, dello “star bene” con me stesso e con gli altri». […] Un altro gruppo consistente di popolazione (il 24,8% dei casi) riconosce di avere una vita spirituale con una valenza religiosa vissuta però secondo proprie inclinazioni. Si attribuisce rilevanza alla fede religiosa, ma la si interpreta perlopiù in modo autonomo e personale. […] Un terzo tipo di spiritualità presenta invece il tratto più conosciuto quando si parla nella nostra società di questi temi. Circa il 20 % della popolazione, infatti, dichiara di essere coinvolto in una «vita spirituale» permeata dalla fede in Dio e dall’adesione ai principi di fondo della propria religione”[2] (cfr. AL 43).

 

L’immagine di Dio lungo la vita

La fede in Dio si caratterizza come un cammino che ha bisogno di progressive maturazioni legate alle fasi di sviluppo, all’ambiente e alle esperienze; deve “crescere in forza e robustezza” (Ef 3,16-21), in “comprensione e sensibilità” (Fil 1,9).

Sono varie e contrastanti le immagini di Dio che circolano nella nostra cultura. Alcune sono negative, e da esse la maggioranza prende le distanze, come il “Dio tappabuchi” chiamato in causa solo quando la vita consegna delle difficoltà, o il “Dio punitivo” che castiga ogni peccato e che interviene con le catastrofi naturali per punire una popolazione, o il “Dio del sacrificio” che attribuisce un valore in sé al dolore e alla sofferenza.

Altre immagini sono positive e riprendono le caratteristiche del Dio cristiano, personale, vicino alla vita dell’uomo, che si dona fino alla morte per amore, che porta alla salvezza cioè ad una vita ultraterrena, e consegna messaggi che aiutano a trovare un senso alla vita e un orientamento ai valori.

In ogni caso l’immagine di Dio che uno ha maturato deve sapersi confrontare con dei nodi critici come il rapporto tra fede e ragione, tra religione e scienza, il posto di Dio e il suo silenzio riguardo al problema del male nel mondo, l’idea che credere in Dio sia solo un bisogno dell’uomo e quindi nient’altro che una costruzione umana.

Il nostro punto di riferimento è il Dio di Gesù Cristo, Padre misericordioso, tenero nell’amore, che parla agli uomini, che può essere invocato, che ha fatto il più grande regalo agli uomini mandando suo Figlio salvatore e liberatore, fonte di vita autentica e di vita eterna.

 

La fede di base, antropologica

Partiamo dalla nostra esperienza quotidiana, ma entriamo anche nelle pagine dei Vangeli dove incontriamo persone che hanno un rapporto con la vita, con il futuro, e con gli altri dove si riconosce una qualche fede e fiducia.

É questo un primo gradino del credere, assolutamente da apprezzare, riferibile – come afferma Christoph Theobald – ad un vero credente, non semplicemente ad un “non-cristiano”, ad uno che emette un atto di fiducia e lo ripete ad ogni evento importante della sua vita. Questa fede antropologica può diventare lo spazio in cui matura una fede legata a Cristo e alla Chiesa.

La figura di un credente di questo tipo emerge nei Vangeli, precisamente dove Gesù Cristo negli incontri con i vari personaggi riconosce che l’altro è portatore di una sua fede vissuta.

Il superamento di questa fede e il passaggio dalla fede elementare alla fede cristiana non è affatto qualcosa di necessario, è dovuto alla grazia di Dio, al suo dono gratuito [3].

 

La fede come dialogo d’amore di Dio e risposta dell’uomo

L’iniziativa e la gratuità del dono che Dio fa all’uomo sono un dato costante della Scrittura e della Tradizione. La gratuità di Dio assume aspetti diversi: è l’iniziativa di farsi conoscere, di svelare il suo mistero personale, è l’iniziativa di alleanza (cfr Gs 24; Esodo) che si realizza da ultimo in Gesù Cristo; è la scelta di amare, di illuminare, di attirare a sé, di dare capacità e forza perché l’uomo possa passare dalle tenebre alla luce (cfr Gv 6,44; 15,5).

La fede poi – va considerato anche questo – non sarebbe possibile se Dio mentre fa la sua offerta non fosse già presente nel cuore dell’uomo trasformandolo interiormente e disponendolo all’accettazione: “Perché si possa prestare questa fede è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale rinnovi il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente e dia a tutti la dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (DV 5).

Il dono che raggiunge l’uomo da parte di Dio è sempre anche una chiamata a prendere posizione, ad entrare nel progetto di Dio. La parola di Dio è sempre interpellante: ciò è evidente per tutta una serie di personaggi biblici (Abramo, Mosè, Geremia, …): Dio fa irruzione nella loro vita come una forza sconvolgente, come un appello che scomoda, come parola che esige una scelta decisiva. Nella fede è tutto l’uomo con tutte le sue facoltà di volontà, di intelligenza, di affettività e di azione, che risponde a Dio, determina il suo destino personale, dà orientamento alla sua vita.

Ma qual è la struttura della fede, la sua dinamica profonda? Gli elementi in gioco nell’atto di fede si possono sintetizzare così:

  • fede è fidarsi di un Tu: il nocciolo della fede cristiana consiste nella fiducia e nell’abbandono a Dio di tutta la propria persona. Nell’Antico Testamento l’esperienza di fede è espressa con un verbo che significa sentirsi sicuro, fidarsi, appoggiarsi a Dio come ad una roccia stabile e solida (cfr Is 7,9). Nel Nuovo Testamento la fede conserva il suo carattere di adesione personale, fiducia, abbandono totale a Dio in Gesù Cristo
  • fede è credere in una storia e nella sua interpretazione: a livello umano il credere in qualcuno diventa accettazione di ciò che dice, ciò che manifesta di sé. Anche a livello cristiano la fede diventa un credere in un racconto, in una serie di fatti e relative interpretazioni: la narrazione di una storia che è storia di salvezza, storia dell’agire di Dio verso di noi in Cristo. Anzi è qualcosa di più del semplice immergersi nella trama del racconto, diventa assumere posizione assieme ai personaggi, e diventare parte del racconto stesso
  • fede comporta coerenza: fidarsi realmente, amare profondamente, abbandonarsi all’altro, comporta anche operare in modo corrispondente, progettare e realizzare una vita che sia risposta all’amore, apertura all’altro, solidarietà, aiuto.

 

La dimensione ecclesiale della fede

Un altro aspetto che riguarda la fede cristiana è il suo essere esperienza comunitaria. La fede è un bene di Chiesa, è ricevuta nella Chiesa e ci inserisce in essa. La Chiesa si presenta allora come comunità in cui la fede è condivisa nella carità, in cui la fede è celebrata nella liturgia ed è annunciata nella missione e nella testimonianza. Afferma papa Francesco che “è impossibile credere da soli. La fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del credente, non è rapporto isolato tra l’’io’ del fedele e il ‘Tu’ divino, tra il soggetto autonomo e Dio. Essa si apre, per sua natura, al ‘noi’, avviene sempre all’interno della comunione della Chiesa. La forma dialogata del Credo, usata nella liturgia battesimale, ce lo ricorda. Il credere si esprime come risposta a un invito, ad una parola che deve essere ascoltata e non procede da me, ma si inserisce all’interno di un dialogo, non può essere una mera confessione che nasce dal singolo. È possibile rispondere in prima persona, ‘credo’, solo perché si appartiene a una comunione grande, solo perché si dice anche ‘crediamo’. Questa apertura al ‘noi’ ecclesiale avviene secondo l’apertura propria dell’amore di Dio, che non è solo rapporto tra Padre e Figlio, tra ‘io’ e ‘tu’, ma nello Spirito è anche un ‘noi’, una comunione di persone. Ecco perché chi crede non è mai solo, e perché la fede tende a diffondersi, ad invitare altri alla sua gioia. Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita” (papa Francesco, Lumen Fidei, 39).

 

La fede è accogliere un significato per la vita

La fede dà significato all’esistenza umana, alla sua origine, al suo divenire, ai suoi problemi, ai nodi critici della vita ma anche alle esperienze entusiasmanti. Se la fede non porta una “risposta razionale” ai nostri interrogativi, quantomeno porta una luce, un orientamento, degli elementi di valutazione e di giudizio.

Professare la fede implica allora mettere in relazione l’evento di Cristo morto e risorto, la sua Parola, le sue azioni, e la costruzione di una comunità di testimoni con i propri problemi, le domande, gli interrogativi, i desideri, le aspirazioni.

Sono sempre due i poli che si confrontano, interpellano e illuminano a vicenda: l’esperienza umana e la parola di Dio.

La vita, il lavoro, le relazioni d’amore, e la morte sono gli ambiti nei quali si affacciano gli interrogativi da leggere alla luce della Parola. E ognuno porta con sé un grappolo di esperienze: con la parola morte ci si riferisce anche all’infelicità, al male, al dolore, all’insuccesso, alla solitudine, all’angoscia, … ; la parola amore invece richiama riconoscimento, affetto, amicizia, tenerezza, fedeltà, … ; quando si parla di vita infine si intendono la gioia, la speranza, l’ottimismo, la felicità, il sogno, il desiderio, …

Professando la fede in Gesù Cristo morto e risorto, i cristiani prendono posizione su tutti i grossi problemi che attraversano la vita e la storia; e dichiarano che tutti questi problemi si rischiarano di luce, e permettono di maturare atteggiamenti nuovi per il fatto di essere visti alla luce del mistero pasquale.

 

Il Kerygma cristiano

“Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Quando diciamo che questo annuncio è ‘il primo’, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti. Per questo anche «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato».

Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più ‘solida’. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (EG, 164-165; cfr. AL, 58).

 

La fede illumina la vocazione alla vita a due nel matrimonio

Ogni persona che ama e decide di accettare l’altro e di promuoverne il bene sta vivendo una specifica vocazione da parte di Dio. Si sente infatti chiamato alla vita, alla fede, e più e precisamente alla vita di coppia. La vita matrimoniale è dunque una vocazione. É proprio Dio che chiamando ad un compito, sorregge, aiuta, orienta ad una vita a due fatta di comunicazione, tenerezza, intimità, perdono e riconciliazione, e preghiera insieme. La preghiera di coppia è memoria dei doni ricevuti durante la propria vita e condivisi, è preghiera che si impasta con il quotidiano del cammino insieme, con i vissuti, le preoccupazioni e le paure, è un continuo lasciarsi amare da Dio che dona lo Spirito dell’amore, è invocazione fatta insieme e con lo sguardo sulle altre famiglie e sull’ambiente.

L’educazione dei figli abbraccia anche la proposta della fede, e invita la famiglia a diventare “il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo” (AL 287; cfr 288-290)

 

[1] Garelli F., Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna 2020, 52-59.

[2] Ibidem, 168-169.

[3] Theobald C., L’Europe terre de mission, Cerf, Paris 2019, 85-127.

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