“Innamorati di Gesù o adagiati?” Clima di festa a Dro per l’avvio delle Assemblee pastorali. L’appello del vescovo Lauro:”Leader diventi la comunità, frequentando Parola e poveri”. “Troppi brontoloni sistematici”

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E’ iniziato danzando e rendendo grazie a Dio per il creato, al ritmo di un inno alla Madre Terra e con le parole del Cantico di San Francesco, il cammino 2019 delle Assemblee pastorali della Diocesi di Trento. Al teatro parrocchiale di Dro, sabato 5 ottobre, tra duecento persone della zona dell’Alto Garda e delle Valli dei Laghi, anche l’arcivescovo Lauro si lascia coinvolgere in un esordio a sorpresa, con le famiglie di Nago-Torbole e Oltresarca prime protagoniste sul palco. Ai laici Carlo di Varone e Silvana di Vezzano è affidata l’introduzione della mattinata. Citano la profezia di papa Ratzinger che cinquant’anni fa immaginava una Chiesa destinata a svuotarsi nei numeri, ma per ripartire riscoprendo l’essenziale: la fede in Gesù Cristo. E rilanciano la recente provocazione di papa Francesco sull’urgenza di un nuovo patto educativo per bonificare il terreno dalle discriminazioni e riscoprire la fraternità.

Ai giovani conduttori don Paolo e Laura il compito di attualizzare, in uno sketch realistico e dialogante, giornale e Bibbia in mano, gli interrogativi comuni sul senso di comunità credenti e celebranti, spesso confuse. Siamo persone innamorate di Gesù o adagiati?, provocano l’assemblea. Chiamata a confrontarsi in ben dodici gruppi di lavoro con le medesime domande: Come sogno la mia comunità cristiana? Dove e chi mi aiuta ad alimentare la mia fede? Di che cosa ho bisogno per farla crescere? Mentre l’esito dei lavori sarà spunto per ulteriore approfondimento comunitario, prime risposte indirette arrivano da suor Barbara e dagli animatori dei gruppi giovani degli oratori e dal loro racconto, con report video, di attività significative dell’estate: da Riva (Sebastiano presenta l’esperienza del pellegrinaggio in bici da San Patrignano a Loreto) a Dro (Simone sul campeggio itinerante sul cammino di San Vili), da Arco (Franco e Michele sintetizzano il viaggio tra Assisi, Roma e Roccella Ionica, ospiti di una comunità di accoglienza) alla Valle dei Laghi (Carlotta, Silvia e Federico e il campeggio di quaranta ragazzi dai 13 ai 18 anni a Firenze, scoprendo la bellezza del volontariato).

Ai giovani fa quindi eco l’arcivescovo Lauro, quest’anno in più evidente atteggiamento di ascolto.

“Dopo il ‘prendere il largo’ – invito d’apertura delle assemblee del scorso anno – quest’anno propongo di andare a cercare le radici del nostro essere Chiesa”, esordisce. Il grande problema, sottolinea, è “trovare un senso all’esistenza”, come dimostrano i suicidi in Trentino, il doppio rispetto alla media italiana, solo tre nell’ultima settimana. “Noi cristiani dove troviamo il senso? Nel prologo di Giovanni: in principio c’è la Parola. Se perdiamo questo contatto, a un certo punto tutto diventa non-senso. Vi invito – si accalora l’Arcivescovo – a tornare a quella Parola che si è fatta carne in Gesù di Nazareth”. Affidàti al Vangelo recita non caso il titolo dell’Assemblea che campeggia anche sulle verdi cartellette distribuite all’ingresso. Don Lauro lo traduce con  “Affidàti al volto, ai lineamenti di Gesù di Nazareth. Dio in Gesù mi porta la notizia che io sono senso. Anche nelle comunità celebranti rischiamo di non avere la convinzione e l’esperienza di un disegno di tenerezza che è incontrabile nel volto di Gesù di Nazareth. Ho l’impressione che annaspiamo perché non lo frequentiamo”. E dopo averne parlato nei giorni scorsi ai preti, don Lauro ritorna sul tema dei troppi leader solitari. “La questione seria è che il leader deve diventare la comunità. La Chiesa deve essere immissione di fraternità, dove tutti hanno posto e senso. Il leader deve diventare la fraternità, frammento di uomini che vivono il tentativo di volersi bene e stimarsi. Se c’è un punto debole nelle comunità è l’essere lamentosi… ma da dove vengono i lamenti? Tanti vengono dal maligno…Ci sono troppi brontoloni sistematici”.

Due le vie concrete indicate da mons. Tisi. Anzitutto tornare a frequentare l’Eucarestia e la Parola. Ritrovare le radici del nostro essere cristiani. “Dobbiamo purificare le motivazioni e chiederci perché ci muoviamo e perché siamo Chiesa, per vedere se in quel file c’è ancora Vangelo e Gesù Cristo. La bestemmia peggiore è quando Dio vede i suoi figli delegittimarsi, criticarsi. Torniamo a stimarci, parlare del Regno, della vita”.

Una seconda via: tornare ad essere in mezzo ai poveri, come hanno fatto i giovani nelle loro esperienze estive. “Se tu ascolti il grido del povero ti muore in bocca la critica, la distruzione della fraternità, torna la simpatia per il fratello. Quando sento il dolore dei parenti di chi si è suicidato, i cosiddettisopravvissuti, metà dei problemi passano…Se ci sottraiamo all’amore, rinunciamo a cambiare la vita”.

La conclusione comunitaria affidata alla carica di don Dario Silvello, parroco di Riva e delegato di Zona – “Nessuna realtà può permettersi di essere autoreferenziale… torniamo alle radici e creiamo comunione” – prelude alla sua presentazione di una serie di iniziative di Zona, a cominciare dagli incontri aperti a tutti nell’ottobre missionario per arrivare a quelli suddivisi per vari ambiti di interesse: dalle famiglie ai chierichetti, dai giovani alle attività caritative… Per concludere con il calendario degli incontri del consiglio pastorale di zona, già fissati fino a maggio 2020. “Grazie – è il messaggio finale – per aver dedicato del tempo ad essere Chiesa, oggi”. Nel pomeriggio, prosecuzione dei lavori per animatori Caritas e degli oratori.