L’addio a Flavio Berloffa, vescovo Lauro: “Sognava una Chiesa e le Acli vicine alle persone, non trasformate in procedure e funzionalismi”

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“Don Lauro, chiedo al Signore, se vuole, di poter guarire. Altrimenti, sia fatta la sua volontà. La vita che ho passato, grazie alla fede che ho imparato da mia madre, è stata un vita bella. Dio l’ha riempita di doni, cominciando da mia moglie e da mia figlia”.  È la confidenza di un amico fraterno, quella svelata dall’arcivescovo di Trento ai funerali di Flavio Berloffa, nella mattinata di martedì 14 dicembre, in una parrocchiale di Povo affollata di parenti, amici, esponenti delle Acli (di cui era dirigente) e della pastorale sociale diocesana per la quale si era speso negli ultimi anni: i tanti mondi del sessantacinquenne vinto in pochi mesi da un male inguaribile. L’Arcivescovo ne esalta una fede “condivisa”, anzitutto con la moglie Enza e la figlia Mangal, e un uomo “capace di sognare fino alla fine”,  nonostante cocenti delusioni. Monsignor Tisi attribuisce a Berloffa, al suo amore per la Chiesa e per la vita associativa, una vero testamento spirituale: “Se c’è un modo per onorarlo – è la preghiera di don Lauro – è non trasformare la nostra vita ecclesiale e l’esperienza aclista in procedure e funzionalismi: Flavio sognava una Chiesa e le Acli vicine alle persone. Preghiamo perché le nostre comunità siano abitate da uomini e donne, come Flavio, che con la sola forza della Parola di Dio, scrivono pagine di prossimità e di lotta per i deboli, i poveri, gli ultimi”.

Al termine della celebrazione funebre, gli appassionati ricordi del presidente delle Acli Luca Oliver, di un nipote di Berloffa e di Eleonora Stenico, presidente della Casa di Riposo De Tschiderer di Trento, nel cui CDA, fino all’ultimo, Berloffa non ha fatto mancare il proprio apporto, pur nella sofferenza. “Una vita – chiosa l’Arcivescovo – non si misura dalla lunghezza degli anni, ma da come l’attraversi”.