Ha da poco passato il testimone di Custode di Terra Santa, dopo esserlo stato negli ultimi nove anni. Padre Francesco Patton, trentino di Vigo Meano, classe 1963 (è nato il 23 dicembre), traccia un bilancio della sua ricca esperienza, vissuta in un periodo storico a dir poco complesso, per via dell’emergenza Covid e della recrudescenza delle tensioni politiche e militari in Medio Oriente, sfociate nell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 e nella repressione infinita dell’esercito israeliano, in particolare nella Striscia di Gaza.
A succedere a fra Francesco sarà padre Francesco Ielpo, nominato da papa Leone XIV lo scorso 24 giugno.
Padre Patton ha rilasciato in questi ultimi giorni ampie interviste ai media cattolici, da Vatican Media ad Agensir.
Pochi giorni prima della fine del suo mandato, in occasione di una una sua visita a Trento, padre Francesco aveva anticipato un primo bilancio del suo ministero in questa video-intervista al microfono di Piergiorgio Franceschini (Servizio Comunicazione della Diocesi trentina), nella quale Patton avanza anche qualche desiderio per il suo futuro più prossimo ed auspica un ritorno ad una pace stabile nella martoriata Terra Santa.
Ecco la trascrizione dell’intervista:
Certamente la cosa più bella è aver potuto far parte di una fraternità internazionale, un’esperienza di fraternità portata all’ennesima potenza, perché i frati della Custodia sono circa 300, di quasi 60 nazionalità diverse. E questa è una sfida grande ed è una sfida, oserei dire, che nel futuro sarà per tutti. Io credo che anche qui, in Italia e in Europa, la Chiesa nei prossimi decenni diventerà sempre più una Chiesa multietnica e multiculturale.
E l’altro aspetto, per me straordinario, di questi nove anni è stato anche l’aver potuto custodire i luoghi santi e quindi celebrare in quei luoghi che noi leggiamo nei Vangeli: Nazareth, Betlemme, i paesi che stanno attorno al lago di Galilea, come Cafarnao, il Tabor e Gerusalemme con la possibilità di celebrare in luoghi così suggestivi come sono il Cenacolo, il Getsemani, il Santo Sepolcro.
Questo contatto con la fisicità, la storicità e il fondamento solido della nostra fede ritengo sia stato un privilegio. E me ne rendo conto ogni volta che vedo pellegrini arrivare da qualche Paese remoto del mondo. Quando mettono piede dentro uno di questi luoghi, quando vedono la grotta di Nazareth o quella di Betlemme, il Calvario, il Santo Sepolcro, si mettono a piangere, perché capiscono di essere in posti nei quali in realtà si è realizzata la nostra salvezza. Si è realizzato ciò che dà senso alla nostra vita.
Guardando al futuro, qual è il suo maggiore desiderio fra Francesco?
Il desiderio, dopo aver terminato questo servizio, sarebbe di poter per un po’ di tempo fermarmi in qualche santuario e rimanere lì, prestando servizio ai pellegrini, ma anche meditando e pregando, con un po’ di calma, e magari anche riordinando le idee per riflettere sull’esperienza di questi ultimi nove anni.
Quando io sono partito per la Terra Santa l’ho sentito come una seconda vocazione. Ho cercato di mettermi un po’ nei panni di Abramo, che era invitato a uscire dalla propria terra e andare verso quello che il Signore chiedeva. Quindi, in realtà, non so quello che il Signore mi chiederà nel futuro, ma ho imparato che vale la pena fidarsi.
Lei non ha mai perso la speranza che l’eterno conflitto israelo-palestinese possa trovare una soluzione. Conferma questa posizione?
La speranza che la guerra possa finire si basa sul fatto che c’è, anche all’interno della stessa società israeliana, una fortissima pressione in questa direzione, perché la maggior parte degli israeliani che nella fase iniziale, dopo il 7 ottobre, appoggiavano la guerra a Gaza, in questa fase comincia a essere stanca di guerra per riavviare anche in modo più serio la stessa economia israeliana che di fatto la guerra sta paralizzando in molti settori. E io spero vivamente che, o per ragioni di interesse, o per ragioni politiche o di umanità, si riesca a mettere fine a questa guerra.