veglia di pentecoste in cattedrale

“Lo Spirito del Signore riempie la terra”. In cattedrale mons. Tisi alla Veglia di Pentecoste: “Nemico della pace è la paura del nuovo”

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Alla vigilia della solennità di Pentecoste, durante la Veglia per la pace celebrata in cattedrale a Trento la sera di sabato 7 giugno, l’arcivescovo Lauro Tisi ha offerto una riflessione intensa e provocatoria sul dono dello Spirito. Tema centrale: la contraddizione tra la proclamazione liturgica e la percezione della realtà. “A caratterizzare la solennità della Pentecoste è il ritornello ‘Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra’. Questa sera più volte abbiamo proclamato che la grazia, lo Spirito del Signore riempie la terra. Dobbiamo essere onesti: l’abbiamo proclamato, l’abbiamo cantato, ma probabilmente non l’abbiamo creduto.” 

“Dov’è il tuo Spirito, Signore?”

Il vescovo non teme di dare voce alle domande più dolorose e profonde che nascono nel cuore di chi guarda il mondo ferito: “Perché in questo momento, la percezione che abbiamo è che a dominare la terra non è lo spirito del Signore, ma è il male, la violenza, la cattiveria, la brutalità più bieca. E, forse, nel cuore di ognuno di noi, è salito il grido: ‘Signore. Dove sei? Dov’è il tuo Spirito?’”

“Dov’è questo Spirito – interroga don Lauro – che riempie la terra, quando i nostri occhi da mattina a sera vedono immagini di bambini affamati, di uomini devastati dai droni e dalle bombe. Dov’è il tuo Spirito quando ormai da più di due anni i nostri occhi ogni giorno sono nutriti dal racconto dei morti sui vari scenari di guerra?” “Dov’è il tuo Spirito, Signore, quando è diventato una notizia quotidiana il marito che uccide la moglie, il figlio che uccide il padre. Dov’è il tuo Spirito, Signore, quando nei nostri rapporti siamo pieni di rabbia e di invidie e gelosie?”

“Il mio Spirito è…”

Ma è proprio a questa angoscia che il Signore risponde, donando “il collirio dello Spirito”. Don Lauro lo concretizza:

“Il mio Spirito è quel bambino di Gaza che soccorre la nonna travolta dalla bomba. Il mio Spirito è quel soccorritore che prova a portare aiuti umanitari sotto le macerie. Il mio Spirito è quell’uomo che sfidando i padroni del mondo, a Goma piuttosto che a Kinshasa (Congo), continua a investire nel sorriso e nell’abbraccio, mentre i predoni dell’umanità portano  via a quel popolo le terre rare”.
Lo Spirito abita anche nella nostra terra: “Il mio Spirito abita nelle case del Trentino dove, non visti da nessuno, uomini e donne si prendono cura dei propri anziani con tanta delicatezza e con sacrifici incredibili. Il mio Spirito abita in queste ore in Primiero, nelle bellissime domande di un bambino che mi ha detto: ‘Don Lauro, a cosa serve la Chiesa?’
Il mio Spirito è nel giovane allievo dei Vigili fuoco che nella sera dell’incontro di tutti i volontari ha detto davanti a duecento adulti: ‘Io faccio il volontario perché voglio essere per gli altri’.
Bonhoeffer in quel bambino parlava!”

“Vieni, Santo collirio dello Spirito!”

L’invocazione si fa intensa, personale:  “Aprici gli occhi e facci vedere il tuo Spirito che sta rinnovando la terra. Intervieni dentro il nostro cuore, e fa che riconosciamo che i primi nemici della pace siamo noi. Fa’ che, mentre preghiamo per la pace e magari ci attiviamo giustamente per iniziative di pace, riconosciamo che abbiamo il cuore pieno di guerre…” Il vescovo denuncia la tentazione di costruire “con i mattoni del nostro ego”, per dominare e ricevere riconoscimenti, come nella Babele della prima lettura. “Noi siamo Babele che vogliamo avere lo spazio per noi anziché diventare il porto sereno dove ospiti il fratello”.

Il sogno della fraternità

L’invito è a invocare lo Spirito perché “doni i sogni di Gioele”: “Quel sogno della fraternità, che rimetta dentro di noi il sogno di essere una famiglia, che rimetta dentro di noi il canto fermo: è più bello insieme. Che ricacci negli inferi quella maledetta battuta: ‘chi fa da sé fa per tre’. Che ricacci negli inferi quel ‘meglio solo che male accompagnato’, o ‘meglio di me non c’è nessuno e se non fanno quello che dico io sono tutti sbagliati’”. 

“Siamo salvati nella speranza”

Don Lauro richiama anche la lettera ai Romani, quella “meravigliosa pagina di Paolo: ‘Siamo salvati nella speranza’… La speranza è l’ingrediente di chi ama”. “La speranza la avremo perfino quando Dio sarà tutto in tutti, perché ogni giorno noi avremo un frammento di novità nel volto del fratello.” E corregge cos’ un’immagine infantile dell’eternità: “Sì, usciamo da queste immagini bambinesche di un’eternità dove rimaniamo fermi a godere chissà quale riposo eterno. Sarà tutta festa, tutta energia, tutta adrenalina, eterna novità”.

Il nemico della pace? La paura del nuovo

“Ridonaci l’ebrezza di osare, di andare nel nuovo, di non averne paura. Perché il nemico della pace è anche questo: la paura del nuovo. Il continuo rimpianto del vecchio”.

E insieme, un’altra richiesta: “Liberaci, Signore, per renderci uomini di pace, da quelle memorie elefantiache per cui finiamo dopo quarant’anni che sei ancora lì, che ti ricordi che ti hanno fatto quel torto.” “Liberaci, Signore dalla memoria malvagia… E invece donaci il gusto dello stupore per dire: ti benedico, Signore, per il tanto bene che ho ricevuto dall’inizio all’ultimo giorno”.

“Riscopriamo la Pentecoste ”

L’omelia si chiude con un brano evangelico che venne “commentato splendidamente” dal card. Martini in Duomo: “Venga a me chi ha sete”. “Donaci la sete – commenta l’Arcivescovo – e dopo la sete donaci di andare a prendere quello Spirito che veramente è a disposizione senza misura per tutti”. Quindi un appello vibrante: “Torniamo a riscoprire la Pentecoste, le veglie di Pentecoste. Peccato che per noi a volte coincide purtroppo con la gita fuori porta dei primi caldi di giugno. No, dobbiamo rimettere al centro la Pentecoste e convocarci come a Pasqua.” “Lavoriamo per la pace, aderiamo anche con altri che non credono a tutto quello che è iniziativa di pace, ma noi come cristiani chiediamo la pace che è Cristo. E soprattutto lavoriamo su di noi perché c’è il rischio che, mentre invochi la pace, uccidi il fratello che hai vicino”.

Il grazie finale

Con tono affettuoso, mons. Tisi ha concluso la Vaglia con ringraziamenti sinceri ai presenti: movimenti, associazioni, comunità, sacerdoti, religiosi e religiose, autorità civili e il coro di Gardolo. “Permettete una nota personalissima: ho gustato il canto del salmo del cantore, mio compagno di banco del Liceo: Paolo Tasin. Avete sentito che voce? Paolo, sei stato bravissimo. Un applauso anche a Claudia, la salmista”. “Cerchiamo – ha quindi concluso monsignor Tisi con il sorriso – di far diventare questa veglia importantissima, perché guardate che vale come la Pasqua!”.