Zuppi al Festival dell’Economia: “Mai abituarsi alla normalità della guerra”

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La pace, valore universale” era il titolo dell’incontro del Festival dell’Economia a cui ha partecipato, nella mattina di oggi, il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della CEI dal 2022, in dialogo con Marco Magnani, che insegna International Economics alla Cattolica e alla LUISS Guido Carli. “La guerra è una sconfitta. Anche per chi la vince. Lo avevano molto chiaro anche i padri costituenti che avevano negli occhi e che erano sopravvissuti agli orrori della guerra”, ha esordito Zuppi: “In realtà anche Caino è sconfitto. L’articolo 11 della Costituzione è bellissimo. Ce lo siamo dimenticati. Ce lo dimentichiamo anche personalmente che la guerra è una sconfitta. Diamo per scontato la pace. Io sono nato dieci anni dopo la fine della guerra e abbiamo sempre dato per scontato che c’è la pace. Abbiamo una responsabilità enorme. E penso che l’Europa, che le guerre mondiali le ha fatte e le ha esportate – perché sono tutte guerre europee, non dobbiamo dimenticarlo – ha maggiore responsabilità per cercare i modi di risolvere le guerre”.

Il cardinale Zuppi ha riflettuto quindi sul significato della pace: “Noi la facciamo coincidere con il benessere. E ovviamente non è così. La facciamo coincidere con l’individuo, mentre la pace è sempre qualcosa che dobbiamo conquistare, difendere. Non è mai acquisita una volta per sempre. Ed è qualcosa che ci unisce agli altri. Nella pace c’è sempre una dimensione sociale. Mentre siamo così tanto presi dall’io che il problema è che io stia bene. Il piano di pace attraversa la guerra. Non la evita. Non fa finta che non ci sia. La risolve. Con tutta la tragedia. Tra tanti artigiani di pace forse ci sarà anche qualche architetto. Perché poi bisognerà anche ricostruire“.

Alla base della pace, per Zuppi c’è sempre il dialogo: “Abbiamo bisogno dell’altro. Del piccolo come del grande. Tanto più in un mondo globalizzato. Capiamo sempre di più quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri e pensiamo di star bene affermando l’indipendenza dagli altri. Mentre potremmo dire che la vita è l’arte del dialogo, quindi anche dell’incontro, in cui ci si ritrova. Il compromesso è trovare quello che unisce. È sempre al rialzo, non è al ribasso. Però c’è bisogno dell’arbitro. Nella pace c’è bisogno di tre pezzi: i due che fanno la guerra e il terzo. se il terzo non c’è, o se si schiera soltanto, e non si schiera per la pace, è chiaro che viene a mancare. Noi dobbiamo avere una paura blu della guerra, quella che avevano i sopravvissuti della seconda guerra mondiale. Quella che aveva Giovanni Paolo II. Bisogna trovare il terzo attore che si dia da fare”.

Non fu solo Giovanni Paolo II a schierarsi per la pace: “Sessant’anni fa Paolo VI, nel ’65, l’anno conclusivo del concilio, si recò qualche settimana prima alle Nazioni Unite. E fece questo discorso bellissimo, poetico, pieno di sentimento e di futuro, con tantissima consapevolezza, portando negli occhi e nel cuore la tragedia della guerra, facendosi voce dei morti, e dicendo non si può vivere in pace con le armi. Consapevolezza che rischiamo di perdere perché certo che l’equilibrio richiede se quello c’ha un cannone io non posso non averlo. Però forse ci potremmo mettere d’accordo per togliere i cannoni. Ci stiamo mettendo d’accordo per avere due cannoni in più dell’altro. Se c’è soltanto quello è terribile. Le armi condizionano. E non si può vivere in pace con le armi in mano. Papa Francesco portava sempre con sé quella foto di un bambino di Hiroshima che portava il fratellino morto con fierezza. Dobbiamo salvare nel nostro cuore delle immagini. Perché altrimenti la guerra si stempera. Diventano numeri, diventano statistiche, diventa geopolitica. Tutte cose vere, ma se si perde la percezione fisica dell’orrore di cosa è la guerra ci si abitua. Diventa normale. Cosa manca in Europa? L’investimento nel dialogo. Nel credere che la via per risolvere i conflitti è il dialogo. E quindi costruire anche pace e giustizia”.