Nella fiction “Chiara Lubich, l’amore vince tutto” una buona ricostruzione della nascita del Movimento dei Focolari

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Non attraversa l’intera vita della fondatrice del Movimento dei Focolari, il film tv Chiara Lubich, l’amore vince tutto, andato in onda in prima serata domenica 3 gennaio su Rai1 (qui per rivederlo su Raiplay) . Sceglie invece di concentrarsi sui primi anni dell’esperienza spirituale di questa donna straordinaria: quelli della seconda guerra mondiale e di una grande avventura germogliata tra le sue macerie, a Trento, sotto le bombe. È la storia di un seme deposto tra la violenza e la divisione tra esseri umani; lo sbocciare di un fiore da subito innaffiato con l’aiuto concreto al prossimo in difficoltà e con la ricerca continua, autentica, dell’Incarnazione del Vangelo. Della sua quotidiana messa in pratica.

La decisione di raccontare solo la nascita di quella pianticella che sarebbe divenuta un albero così robusto da portare rami in 180 Paesi del mondo, di approfondire solo i primi spontanei e decisivi passi del lungo viaggio di Chiara Lubich (principalmente gli anni raccontati vanno dal 1943 al 1946) non impedisce a questa fiction diretta dal regista Giacomo Campiotti e prodotta da Rai Fiction e Luca Barbareschi per Eliseo Multimedia, di far emergere nitidamente l’idea, il progetto vissuto con passione da Chiara Lubich. A partire dall’amore inteso come dono, come offerta di sé all’altro per la ricerca di unità tra tutti gli esseri umani fino al sogno della fratellanza universale mediante Gesù che «ama nascondersi —dice Chiara nel film —sotto il sofferente e il bisognoso: quelli sono i prediletti del Signore, siano i prediletti tuoi».

La bellezza di Lubich prende lentamente forma in questo ritratto giovanile completato dalla valida interpretazione di Cristiana Capotondi, brava a cercare, con una recitazione sobria ma impreziosita da sfumature delicate e precise, la verità interiore del personaggio, la sua energia, il suo pensiero luminoso e concreto prim’ancora della somiglianza fisica. L’attrice si muove con misura tra la ricchezza delle azioni e delle parole di Chiara, ne restituisce l’impasto di solarità, personalità, passione e profonda fiducia nel dialogo, nella pace e nel vero incontro, il suo vivere in ascolto costante di quel Vangelo che nel film abbonda.

«Ama il prossimo tuo come te stesso», è il primo passo che Lubich legge e subito dopo sorride delicatamente. «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi», condivide con le amiche nel rifugio durante il bombardamento. Con loro condividerà anche il primo focolare e altre parole del Nuovo Testamento. «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» ed è altra luce che illumina la sua strada già in quei primi anni non semplici in cui la gioia piena della relazione con Dio e quella conseguente con le persone incontrate si impregna della tragedia della guerra e dell’odio lasciato da questa in eredità; si increspa con la diffidenza iniziale intorno al movimento, con la Chiesa stessa che lo osserva e studia fino al «5 dicembre del 1964» quando, come dice una didascalia alla fine del film, «Paolo VI approvò il Movimento dei Focolari in via definitiva».

Certamente questa fiction è pensata per un pubblico ampio e variegato, ma restituisce, nel centenario della nascita di Lubich, giovane maestra di Trento capace di fare cose grandi e ancora oggi moderna, una donna coraggiosa e nemica di quella «falsa prudenza coltivata dal diavolo» spiega nel film all’allora arcivescovo di Trento, Carlo De Ferrari, che l’aveva convocata per capire se ci fosse del vero nelle chiacchiere che aveva ascoltato su di lei.
«Sembra una virtù -prosegue Chiara- ma lascia che la famiglia accanto si ammazzi perché non si dica che ci impicciamo delle vite degli altri». Uno che «questa prudenza» non l’ha mai avuta, conclude Chiara, è stato «Gesù» e De Ferrari replica che «dai frutti si riconosce l’albero» e che in tanti gli hanno testimoniato che i focolarini hanno «dato alla città di Trento molti frutti». Le dice anche che in lei e nel suo movimento vede «il dito di Dio».

da L’Osservatore Romano di sabato 3 gennaio, analisi di Edoardo Zaccagnini