“In questo momento vogliamo liberare come Chiesa trentina il nostro ‘grazie’ per il dono di papa Leone e insieme vogliamo accompagnare i primi passi del suo ministero con la nostra preghiera. Spesso negli Atti degli apostoli si ricorda che la comunità pregava per Pietro: prendiamoci questa sera l’impegno di far diventare permanente, costante la nostra preghiera per Pietro, per colui che oggi ha il compito, come Pietro, di testimoniare la potenza del Cristo risorto e insieme preghiamo perché cresca in tutta la Chiesa, la comunione e l’unità la pace sia con tutti voi”.
Così l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi ha connotato, nella serata di mercoledì 21 maggio in cattedrale, la S. Messa solenne per l’inizio del nuovo pontificato di Leone XIV: un sincero e gioioso ringraziamento per il dono del nuovo Papa, in comunione con la Chiesa universale. Alla Messa erano presenti diversi parroci e rappresentanti delle comunità, in particolare quelle cittadine.
Il Risorto disarmato e disarmante
Nell’omelia monsignor Tisi ha ripreso quel “pace a voi” con cui Leone XIV ha esordito la sera dell’8 maggio. “In quest’ora così violenta, mentre rassegnati e stanchi ci auguriamo la fine dei conflitti, papa Leone, come Pietro il mattino di Pentecoste, ci ha annunciato – ha commentato don Lauro – che il Risorto, pace disarmata e disarmante, ha piantato la sua dimora in mezzo a noi, ha in mano la storia e nessuno lo fermerà”.
“È Cristo – sottolinea ancora l’Arcivescovo – il disarmato che disarma, è lui il risorto, vivo, che cambia ritmo alle parole. Che cambia ritmo al cuore. Che pone i gesti della pace. È il risorto che con il suo Spirito consegna agli uomini e alla Chiesa di oggi la possibilità di mandare in onda parole disarmate e disarmanti, sentimenti disarmanti e disarmati e gesti di compassione, di tenerezza, di bontà”.
“Non siamo affatto in movimento, siamo fermi alla clava”
Nel commentare il Vangelo di Giovanni, con il suo invito a “rimanere nel Cristo uniti come i tralci alla vite”, don Lauro ribadisce che “la via per diventare costruttori di pace e seminatori di speranza è rimanere nel Cristo”, ma vi aggiunge però una sottolineatura: “Se c’è un verbo poco adatto a descrivere la vita dell’uomo contemporaneo è il verbo ‘rimanere’. Tutti gli analisti descrivono l’uomo contemporaneo come un uomo in movimento. Sembra che la nostra struttura sia l’essere in perenne movimento. Si muovono le parole, si muovono le persone, è un pullulare di movimento la vita dell’uomo contemporaneo”.
“Personalmente – riflette e di accalora don Lauro – prendo le distanze: noi siamo gli uomini fermi nella palude, non nel movimento. Non siamo per nulla in movimento. Se volete chiamar movimento le tecnologie che si aggiornano e movimento il fatto che gli strumenti di viaggio sono sempre più veloci e aggiornati, chiamatelo movimento, ma questo non è il movimento. Noi siamo fermi come l’uomo delle caverne, semplicemente alla clava abbiamo sostituito il drone, ma siamo lì, fermi! Bloccati da una struttura di vita dove non va in onda una parola diversa da quella che andava in onda coi primitivi o nel secolo breve segnato da violenze, da barbarie. Siamo gli uomini della barbarie e della violenza. Siamo gli uomini super fermi!”
Leone e le “vere parole di movimento”
Monsignor Tisi torna all'”alba del pontificato di Leone” (“già ricco di luce”) e ammette: “Mi piace quest’uomo che davvero in punta di piedi, con tanta discrezione, sta dicendo parole autorevoli e, queste sì, parole nuove. Parole di movimento. Che invitano a usare parole disarmate e disarmanti, che invitano a riscoprire la bellezza del dialogo, del confronto, della comunione”.
“Rimanere in Gesù per farsi contaminare dagli altri”
“Del resto – annota l’Arcivescovo , rimanere in Gesù come tralci alla vite in realtà è un’operazione profondamente dinamica. Rimanere in lui vuol dire far nostra la disponibilità a lasciarsi contaminare e cambiare dagli altri. Rimanere in lui è permettere alla domanda ‘Dov’è tuo fratello?’ di toccarti nel cuore, per poi uscir fuori con la pagina di Matteo 25: ‘Avevo fame, mi hai dato da mangiare; avevo sete, mi hai dato da bere’. Rimanere in lui – altro che star fermi – è avere l’inquietudine della carità, quell’inquietudine che non ti dà mai pace e che fa sì che tu dalla mattina alla sera cerchi il fratello per soccorrerlo, per amarlo, per volergli bene, per dargli pace”.
“Come la folla di Pentecoste, lasciamoci trafiggere il cuore”
“Se vogliamo essere uomini e donne in movimento, accompagniamo il grido di questo nostro fratello, che Dio ha messo come servo della comunione tra le Chiese, con tanta preghiera, perché il suo annuncio, come l’annuncio di Pietro a Pentecoste, possa trafiggere il cuore dell’uomo contemporaneo e portarlo di nuovo a uscire dalle secche e a diventare uomo di movimento. Mi è venuta in mente in questi giorni quella folla di Pentecoste che si sentì trafiggere il cuore e disse a Pietro: ‘Che cosa dobbiamo fare?’ E Pietro rispose: ‘Fidatevi del Cristo e della sua vita’. Prego perché oggi il nuovo Pietro, Leone XIV, ci porti la stessa trafittura del cuore. E possiamo, a nostra volta, uscire fuori e dire ti ringrazio Signore, perché con te la mia vita è pace, è benedizione, è futuro”.