Il vescovo Lauro Tisi in Visita pastorale alla Diocesi dall’autunno ‘24. L’annuncio nel Messaggio “La messe è molta”: comunità invitate a “visitare se stesse” per individuare le linee del futuro

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A partire dall’autunno 2024, l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi inizierà la sua prima “Visita pastorale” alla Diocesi. Monsignor Tisi visiterà mediamente una Zona pastorale all’anno (sono otto complessivamente), iniziando dalla Zona di Mezzolombardo che comprende la Piana Rotaliana, l’Altopiano della Paganella, Lavis e la val di Cembra. In questo territorio, monsignor Tisi sarà presente, soprattutto nei fine settimana, da metà ottobre a febbraio 2025.

La Visita pastorale è un compito che spetta ad ogni vescovo, chiamato a incontrare periodicamente tutte le comunità cristiane del proprio territorio. Insieme a loro, monsignor Tisi, in forma più sistematica rispetto ai pur frequenti incontri occasionali, farà il punto sull’attività pastorale e porterà a ciascuna realtà il proprio incoraggiamento.

In Diocesi di Trento l’ultima Visita pastorale fu dell’arcivescovo Luigi Bressan nell’arco temporale dal 2002 al 2014.

Per ogni Visita è previsto un intenso calendario di momenti di confronto e di preghiera, definiti in accordo con parroci e laici in base a ogni contesto pastorale.

Il messaggio alla Diocesi

In vista di questo evento per la Chiesa di Trento, l’arcivescovo Lauro ha scritto un Messaggio alla Diocesi dal titolo “La messe è molta“: un invito a cogliere gli elementi di speranza e di positività nonostante l’ora triste in cui versa l’umanità e in una stagione di generale affaticamento anche per la Chiesa.

Nel testo, don Lauro auspica siano i territori i veri protagonisti di questo crocevia del cammino ecclesiale, invitando le comunità a “visitare se stesse”. Suggerisce loro, infatti,  di mettere a fuoco, confrontandosi nello stile sinodale, gli aspetti positivi e quanto andrebbe migliorato e di individuare infine per ogni territorio alcune priorità pastorali sulle quali investire nei prossimi anni. Scelte da compiere alla luce di tre capisaldi condivisi a livello diocesano e considerati cuore di ogni comunità cristiana: la riscoperta della Parola di Dio, l’importanza della celebrazione eucaristica e l’attenzione prioritaria alle persone più affaticate e fragili.

Il Messaggio di don Lauro porta la data del 25 aprile, festa di San Marco, uno dei quattro evangelisti: una scelta non casuale, a sottolineare la finalità ultima della Visita: rilanciare la bellezza del Dio di Gesù di Nazaret e la straordinaria attualità del suo messaggio evangelico pur dentro un cambio epocale, come rammenta sempre papa Francesco.

L’immagine che accompagna la Visita rappresenta San Vigilio che guarisce gli infermi, opera di Simone Baschenis che la realizzò nel 1539 per la Chiesa di San Vigilio a Pinzolo.

Il testo integrale del Messaggio è disponibile sul sito diocesano (QUI in formato pdf – libretto scaricabile) ed è pubblicato sull’ultimo numero del settimanale Vita Trentina.

Ecco il testo integrale del Messaggio

LA MESSE È MOLTA

In quest’ora dell’umanità il cuore è triste. La guerra si consuma in ogni angolo del pianeta e l’ansia di pace appare costantemente frustrata. E anche laddove i conflitti non sono dichiarati, la violenza s’infiltra nelle pieghe delle relazioni e rende talora tossici i rapporti tra le persone.

Alle tenebre che opprimono e offuscano lo sguardo, fa da contraltare la luce penetrante di uomini e donne che ogni mattina si alzano e scrivono, nel silenzio, straordinarie pagine di altruismo nel dono gratuito di sé. La loro umiltà e fedeltà è antidoto alla diffusa patologia della visibilità e al rischio della deriva autoritaria nella soluzione dei problemi collettivi.

Tristezza e angoscia, povertà e sofferenza si intrecciano di continuo alle gioie e alle speranze e divengono provocazione per ogni credente nel Dio di Gesù Cristo. Nel cuore di ogni cristiano – ci ricordava il Concilio Vaticano II sessant’anni fa – deve infatti risuonare tutto ciò che è genuinamente umano (Gaudium et spes). Altrimenti, rischia di essere un cuore che batte per se stesso e non il nucleo pulsante della vita.

Con tale spirito, guardo con affetto e con speranza a questa nostra amata Chiesa di Trento che mi accingo ad incontrare a partire dal prossimo autunno nella “Visita pastorale”.

La sfida

La Visita pastorale avviene dentro quello che papa Francesco chiama un “cambiamento d’epoca”. Nella vita della Chiesa esso si riflette nel calo rapido e costante di praticanti, nel venire meno delle vocazioni di speciale consacrazione, ma anche in una domanda di spiritualità nuova, seppure di non facile definizione.

Nelle nostre comunità cristiane il respiro a volte si fa faticoso, le forze vacillano e l’entusiasmo sembra venir meno. Una situazione simile a quella incontrata da Gesù mentre percorreva città e villaggi, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. “Vedendo quelle folle – narra infatti l’evangelista Matteo –, Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9, 36). Ma è proprio in questo clima di generale smarrimento che Gesù – come attesta anche Luca – sottolinea ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!”  (Lc 10,2).

Lo sguardo e le parole di Gesù descrivono bene i connotati del Regno di Dio e delineano i tratti caratteristici del cristiano. Si è soliti, di queste righe, porre in evidenza soprattutto la penuria di operai. Si rischia di dimenticare la premessa, ovvero l’abbondanza della messe.

Il pericolo è di non accorgerci dell’amore che Dio riversa su di noi. Facendo nostre le parole di Sant’Agostino «Temo il Signore che passa», non dobbiamo trascurare l’eventualità di abdicare alla gioia di partecipare alla mietitura. Di qui l’urgenza della preghiera al Padre, unico Signore della messe, perché ci aiuti a nutrire ottimismo e fiducia per cogliere nella realtà il raccolto che abbonda. E questo è anche il miglior viatico per generare nuovi operai.

Questo sbilanciamento di accenti è dovuto al fatto che non abbiamo ancora messo sufficientemente a fuoco che non siamo noi a “seminare” il Regno di Dio. A noi spetta raccogliere la messe generata dal Risorto. Nella Pasqua, Gesù vince la morte. Lo fa, come mirabilmente coglie il centurione, proprio con il suo modo di morire, nell’abbraccio accogliente e misericordioso della croce e nella promessa al malfattore con lui crocifisso: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).

Il termine “visita” intendo leggerlo – ce lo rammentava già il vescovo Alessandro Maria Gottardi che mi ordinò presbitero – anzitutto nel suo primo significato biblico di “amicizia” e “sollecitudine”, proprie di un Dio che ha cura dell’uomo. Il vescovo-pastore in visita al gregge a lui affidato vuol essere quindi un umile segno del Dio dell’Alleanza e del Dio che in Gesù visita, costantemente, il proprio popolo (Lc 1,68-69.78; 7,16). Come fecero gli apostoli, continuamente in viaggio per estendere la buona notizia e visitare le comunità già evangelizzate.

Il metodo della triplice “Confessio”

Vere protagoniste della Visita saranno, a ben vedere, proprio le comunità, chiamate anzitutto a interrogarsi sul loro rapporto con Dio e sulla qualità della loro vita fraterna.

Facendo eco al grande vescovo lombardo Carlo Borromeo, nobile divenuto santo per la sua costante vicinanza alla gente e il suo amore per i poveri e gli ammalati, vorrei che fossero le comunità a “visitare se stesse”. E vorrei lo facessero applicando una metodologia cara al successore del Borromeo e prima ancora di Sant’Ambrogio (amico del nostro patrono San Vigilio), vale a dire il cardinale Carlo Maria Martini. Egli amava richiamare fedeli e comunità a porsi in ottica penitenziale, seguendo il noto schema della confessio laudis, confessio vitae, confessio fidei.

Vorrei che tale metodo fosse assunto dalle comunità in preparazione alla Visita.

Nella confessio laudis – confessione di lode – siamo invitati anzitutto ad individuare i molti motivi per cui ringraziare Dio per la sua vicinanza. E annotare quanto c’è di bello nel nostro contesto comunitario prendendo coscienza, anche nella comunità più piccola, di come lo Spirito Santo sia costantemente all’opera. Sono tanti i germogli di bene che meritano di essere fatti emergere e custoditi.

La confessio vitae – confessione di vita – dovrebbe indurre le comunità a chiedersi: che cosa c’è in noi che non vorremmo ci fosse? Che cosa ci pesa? Si tratta di chiamare per nome le principali fatiche della vita comunitaria, facendo emergere non più di due-tre aspetti da porre davanti a Dio e per i quali chiedere perdono e cercare insieme una possibile soluzione.

Infine, la confessio fideiconfessione di fede, ovvero attestare la forza di Dio nella vita di ogni giorno e rinnovare la nostra fiducia, personale e comunitaria, nella buona notizia della presenza in mezzo a noi del Regno di Dio, individuando almeno una priorità pastorale nella quale investire con coraggio e in un arco temporale definito.

Stile sinodale

Questo metodo di lavoro dovrebbe coinvolgere anzitutto i consigli pastorali, i comitati parrocchiali e i consigli per gli affari economici.

Il confronto che animerà la Visita pastorale è auspicabile possa avvenire con lo stile della conversazione spirituale, già sperimentato nel Cammino sinodale, e tenendo sullo sfondo i tre temi chiave per la nostra Diocesi scaturiti dal Cammino stesso: giovani, donne e fragilità.

Proprio in ottica sinodale, in ogni comunità sarà importante verificare con franchezza – andando alla ricerca dei punti di forza e di debolezza – l’intensità d’interazione e di collaborazione con le comunità limitrofe, con la propria Zona pastorale e con la Diocesi.

Un’interazione non meramente organizzativa e operativa, ma esistenziale, fondata su uno sguardo del cuore che contempla il mistero della Trinità che abita e opera in noi (Ef 4,4-6).

Ad ogni livello di riflessione, quasi fossero dei cerchi concentrici che si vanno ad allargare, sarebbe bello aleggiasse la domanda: ci sentiamo parte di un’unica Chiesa diocesana? Nel concreto: dove vediamo già realizzata questa comunione? Come potremmo renderla più efficace?   

Sarà inoltre importante cogliere nel cammino in preparazione alla Visita pastorale l’occasione propizia per interrogarsi sulla futura organizzazione territoriale delle nostre comunità credenti. Così come non potrà mancare un opportuno ragionamento sulle strutture a disposizione delle comunità e sulla loro sostenibilità, attivando una concreta collaborazione tra comunità vicine, con spirito fraterno.

Parola, Pane e Poveri

Non è proprio di chi è chiamato a vivere il Vangelo leggere la vita con i criteri della mondanità. Ci è chiesto di essere semplicemente lievito e sale, come ho cercato di argomentare nell’ultima Lettera alla comunità. Rilancio da quelle pagine l’auspicio che le comunità possano trovare una modalità per dare concretezza ai tre termini su cui si dovrebbe reggere ogni esperienza ecclesiale: Parola, Pane e Poveri.

La frequentazione della Parola di Dio, nel silenzio e nella preghiera – a cui ci invita con forza papa Francesco –, è salutare ossigeno per scongiurare l’asfissia ecclesiale. Per citare ancora il cardinale Carlo Maria Martini, c’è bisogno estremo di una vera e propria “terapia della Parola: ciò che il dibattito non ottiene, lo ottiene la Parola”, lasciata risuonare nel silenzio. Ne siamo davvero convinti? Quanto le nostre comunità sono fondate sulla Parola di Dio? In che modo potremmo favorire l’incontro con la Parola?

Auspico con forza che il Pane eucaristico, in particolare nella convocazione della domenica, possa essere colto come sorgente per attingere al fuoco divorante e inebriante di un Dio che si dona per amore. Un fuoco che, per ardere, chiede di essere adeguatamente alimentato e curato. Ne siamo consapevoli? Quali passi abbiamo fatto o potremmo fare per ravvivare le nostre assemblee eucaristiche?

Non c’è testimonianza cristiana, infine, senza l’attenzione prioritaria alle persone fragili. Sogno e chiedo allo Spirito il dono di comunità capaci di farsi carico delle situazioni di povertà, evitando la delega a pochi volenterosi e inaugurando nuovi percorsi solidali con i tanti uomini e donne della società civile che si prendono a cuore chi fa più fatica.

Dio in tutte le cose

Il gesuita André Fossion, riprendendo la famosa affermazione di Sant’Ignazio “vedere Dio in tutte le cose” ci offre un criterio affascinante per cogliere la presenza di Dio anche quando sembra scomparso dall’orizzonte e la nostra fede messa duramente alla prova. Si tratta in verità di vedere la storia come Dio la vede e così conoscere nella non-evidenza e nella non-necessità di Dio, fortemente presente nella cultura contemporanea, la traccia stessa della sua presenza che dona la vita senza chiedere nulla fino a ritrarsi con discrezione in un continuo abbassamento, appello alla libertà della nostra risposta.

È una visione potente, che induce ad essere Chiesa umile. Ma anche una Chiesa gioiosa: le prime comunità cristiane, tutt’altro che rinchiuse in se stesse, nonostante un’oggettiva inferiorità numerica rispetto al resto della società, hanno conosciuto una incredibile forza missionaria in nome della gioia che nasceva dal percepirsi fratelli e sorelle, scelti e amati dal Padre.

Vorrei incontrare tutte le comunità, anche le più piccole, per provare a condividere insieme questa gioia. I giovani, narratori – rammenta Paola Bignardi – di una necessaria “metamorfosi del credere”, provocano noi adulti a una nuova alleanza, ponendoci di fronte all’alternativa: dar vita a comunità cristiane ospitali e innovative oppure chiudersi in una cittadella sempre più arida e fuori dal tempo. Insieme alla grande discepola che è Maria, capace di credere contro ogni evidenza e di attendere l’aurora della Pasqua, invoco lo Spirito Santo affinché possiamo, insieme, fare esperienza delle sorprese di Dio.

Arcivescovo di Trento

+ Lauro Tisi

Trento, 25 aprile 2024

Festa di San Marco, evangelista