2 novembre, vescovo Lauro sul cimitero di Trento per le vittime di tutte le guerre. “La pietas per i nostri morti ci aiuti a vivere meglio e a credere all’amore”

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Tutto è perso con la guerra, solo la pace può dare futuro al mondo e alla Storia“. Le parole dell’arcivescovo Lauro risuonano nitide, come il cielo nuovamente soleggiato di questo 2 novembre, nel cimitero monumentale di Trento, all’inizio della s. Messa al sacrario militare, in memoria delle vittime di tutte le guerre. Parla davanti alle autorità militari e civili, ma anche a decine di cittadini, in visita alle tombe dei propri cari, “con i quali spesso avvengono dialoghi intimi meravigliosi”, nota don Lauro.  

“Non scompaia la pietas per i nostri morti”  

“La pietas per i morti (citata anche nel frontone del sacrario) che unisce credenti e non credenti ci ricorda – argomenta l’Arcivescovo nell’omelia, riprendendo il Cantico dei Cantici – che l’amore è più forte della morte. I nostri cari se ne vanno con il corpo ma il loro ricordo, l’amore che ci ha legati non se ne va. Al punto che per qualcuno la scomparsa dei propri cari stravolge la vita”. “Ipotizzo – riflette ancora don Lauro – che la difficoltà a pensare la vita dopo la morte forse sia figlia di una certa fatica sul fronte delle relazioni. Preghiamo dunque perché possiamo credere all’amore, unico balsamo che dà senso al vivere. E preghiamo – incalza l’Arcivescovo, ricordando anche i morti per Covid ‘ridotti a numero’ – perché non scompaia la pietas per i morti, che il ritmo incalzante della vita ci sta togliendo. Un certo culto dei nostri morti ci aiuterebbe a vivere meglio“.

“Un Dio recuperatore di frammenti “

Monsignor Tisi si sofferma quindi sull’immagine di Dio descritta nella frase nel Vangelo di Giovanni: “‘voglio che nessuno sia perduto”. “Un Dio – spiega don Lauro – che recupera, che mette insieme, non spezza le canne incrinate: questo è il volto del Dio cristiano offerto da Gesù. Un Dio di un’attualità impressionante, in un’ora in cui non siamo più capaci di dialogare e ricomporre le vicende umane”. Non solo, dunque, l’attenzione alle guerre combattute al fronte. Per l’Arcivescovo il pensiero deve necessariamente andare a quella sottile, diffusa, bellicosità che esaspera gli animi. “In un mondo che grida e spara sentenze – ammette infatti -, questo Dio ‘recuperatore’ è provocazione a recuperare il dialogo, prendere in mano la posizione avversa alla tua e farla entrare nei tuoi ragionamenti. Non si va da nessuna parte con il punto esclamativo!”  “Il Dio della vita – è l’invocazione finale – ci porti la consolante certezza che solo includendo, dialogando, frequentando le domande potremmo tornare a vivere e ad avere futuro“. (pf)