Con la chitarra fra gli anziani di via Veneto

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La mia storia personale è costellata da diverse figure che hanno contribuito a definire la mia identità e a dare senso al mio percorso di crescita. Tra queste ci sono, indubbiamente, i nonni. Stare con loro, entrare nel loro stile di vita, nel loro modo di esprimersi e di vedere il mondo mi ha aiutato molto, fin da piccolo, a trovarmi a mio agio anche con persone “più in là” con gli anni. Se dovessi pensare a quattro immagini che parlano dei miei nonni sceglierei: carte da briscola, naftalina negli armadi, immagini mariane di vario tipo e… gli immancabili soldi per il gelato. Ho fatto questa premessa per dire che, all’inizio del quarto anno di seminario, è nato dentro di me il desiderio di tornare a frequentare questa “categoria” di persone, di farmi vicino a quegli anziani che, in maniera particolare, hanno sperimentato la fatica e il disorientamento per la lontananza dei familiari dalle case di riposo in tempo di pandemia. Come anche altri miei compagni hanno raccontato nei numeri precedenti, a partire da quest’anno ci è stata offerta la possibilità di dedicare alcune ore del venerdì pomeriggio in una realtà caritativa della città. Ho avuto quindi la fortuna di iniziare una bella esperienza presso la Residenza Via Veneto, armato di chitarra, di voglia di incontrare, di “stare”, di fare compagnia e di ascoltare. Le mie attese e i miei desideri si sono concretizzati grazie alla presenza e al supporto delle animatrici della struttura, Valentina e Michelina: la prima parte del pomeriggio era dedicata al rapporto “a tu per tu” con chi non poteva ricevere le visite dei familiari o con chi faticava a vivere le attività comunitarie, mentre la seconda parte era riservata alle dinamiche “di gruppo”, dunque canzoni, giochi a squadre, letture, spazio per i racconti personali, lavoretti, bricolage, etc. Non posso raccontare tanti aneddoti perché sono “segreti” che riguardano me e i singoli ospiti, e, come tali, i segreti vanno mantenuti! La cosa certa è che, nonostante la stanchezza accumulata durante la settimana, ogni volta che uscivo dalla RSA ero felice… sì, felice! Ho perso il conto dei “grazie” ricevuti, dei “che Dio ti benedica”, dei sorrisi, delle strette di mano, delle risate, anche dei silenzi/gemiti di chi non riusciva a parlare ma che ugualmente mi riconosceva e mi voleva salutare, delle storie condivise. Tante volte mi sono chiesto se anche Gesù, a Nazareth, avesse fatto esperienza di cosa volesse dire concretamente assistere un anziano: vestirlo, imboccarlo, aiutarlo nei movimenti, rispettare i suoi silenzi, le sue esigenze, il suo bisogno di riposare e di essere coccolato… assistere, cioè, per un tempo più o meno prolungato, qualcuno che abbia perso la capacità di badare pienamente a se stesso. Forse con i suoi nonni? Con Giuseppe? Non ne ho la certezza. Penso, però, che Gesù sapeva guardare tutti, sia anziani che giovani, con la consapevolezza di avere davanti una persona, con la sua dignità, la sua storia, i suoi errori e i suoi pentimenti. Questo pensiero mi ha spesso aiutato a relazionarmi con chi incontravo: anche se non lo conoscevo potevo poterò usare il mio tempo per stargli vicino, lì dov’era, nella sua condizione, per essergli – in caso di bisogno – di aiuto e sostegno. E proprio da quei momenti sono nate occasioni per ascoltare tante storie di vita, dai racconti dell’amata infanzia, abitata da tante figure care, alle difficoltà che si sperimentano da anziani, da malati, da persone sole, all’opportunità di poter vivere finalmente “come se si fosse all’albergo”. Insomma, un’esperienza in cui ho dato dieci e ho ricevuto cento… per la quale voglio dire un sentito “grazie” a tutti coloro che hanno reso felici e arricchenti i miei venerdì pomeriggio!

Federico Mattivi