Il carcere di Spini: un’opportunità di ascolto

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La prima cosa che ti colpisce quando varchi la soglia del carcere di Spini è la sensazione di essere in un mondo che si muove ad una velocità tutta sua, molto diversa da quella della realtà esterna. Te ne accorgi sin dai primi controlli, quando ti chiedono di lasciare il cellulare in un’apposita cassetta: sei in un posto con delle regole del tutto singolari. Lì anche una comune luce verde non significa quello che in genere ci si aspetterebbe (ovvero “sì, puoi passare”), ma indica che la porta è chiusa e dunque tutto è sicuro. Entrare nella Casa circondariale di Spini impone di accettare di avere molto da imparare, richiede per certi aspetti di sospendere il giudizio e affidarsi all’esperienza di altri, poliziotti e detenuti. Una volta superato il primo impatto e presa un po’ di confidenza con le “regole del gioco”, ecco i primi incontri con i detenuti, le prime strette di mano, le prime storie che si vengono a conoscere. Sono storie molto intense, ricche di dettagli personali, intrise di passioni, desideri e attese per il futuro. A volte la crudeltà dei racconti ti lascia senza fiato… altre volte invece ti stupisci per la sensibilità e la profondità di sguardo che questi uomini hanno sulla vita. A questo ovviamente non ero pronto ed è stato per me come un tuffo nell’ignoto. Per fortuna il cappellano del carcere, don Mauro Angeli, mi ha accompagnato all’interno di questa realtà aiutandomi a riscoprire ogni volta la ragione del nostro servizio: l’incontro con Cristo. E del Crocifisso il mondo del carcere parla continuamente, magari non direttamente, ma traspare negli sguardi e nelle parole di chi dietro le sbarre ci vive giorno dopo giorno. Ascoltando i racconti di queste persone ci si rende conto di quanto la solitudine a volte pervada le celle di Spini e di quanto queste storie, fatte di paure e timori, siano – esattamente come le nostre storie – assetate di riscatto e risurrezione.

Federico Toccane