In due giorni, un unico abbraccio a don Marcello Farina, morto a 85 anni nella notte di venerdì 28 novembre. Un commiato in due luoghi che ne hanno segnato il cammino: Trento, dove per decenni ha predicato, insegnato, scritto e accompagnato molte persone; e Balbido, la terra che gli ha dato i natali e che lui stesso chiamava “il luogo della sincerità”.
A Trento, nella chiesa di San Carlo
Nella chiesa di San Carlo (leggi cronaca Vita Trentina), sotto la grande figura del Cristo Risorto e alla luce delle parole bibliche scelte dallo stesso don Marcello per il suo addio – l’inno alla carità e la parabola del Buon Samaritano – una folla tra sacerdoti (a cominciare dagli amici di una vita), ex studenti, amici, lettori, semplici conoscitori del suo sorriso un po’ ironico e della sua voce pacata.
Davanti al feretro e alla comunità raccolta, l’arcivescovo Lauro Tisi ha pronunciato parole per nulla scontate: «Chiediamo perdono per le volte in cui la nostra Chiesa non ha saputo accogliere le sue sollecitazioni a trasformare il Vangelo in terreno di bellezza per l’umano». Parole che hanno riconosciuto la libertà di don Marcello, la sua capacità di inquietare con delicatezza, di proporre nuovi sentieri quando altri si accontentavano delle strade battute.
Poi l’invocazione del vescovo, quasi un lascito: imparare da lui la santa inquietudine, quella che non si accontenta delle frasi fatte ma scava, accoglie, ascolta.
Il ritorno a Balbido, la terra che apre gli orizzonti
Il giorno dopo, martedì 2 dicembre, Balbido ha accolto don Marcello con il lutto cittadino. Il suo paese era il luogo in cui – raccontava – ci si può permettere la verità: riconoscere le proprie piccolezze ma sentire anche la spinta a guardare oltre. “Balbido è la sincerità” – ha ricordato Tisi – e “con quella stessa sincerità oggi salutiamo don Marcello: con gratitudine per ciò che è stato; con cura per ciò che ci lascia; con la responsabilità di non fermarci, come lui ci ha insegnato”.
Una fede che non smette di porre domande
Nell’omelia, l’Arcivescovo ha tracciato il ritratto più vero del sacerdote: un uomo che ha seguito Gesù sul sentiero più difficile, quello delle domande. “Non sempre la nostra Chiesa ha saputo far tesoro di questa sua attitudine. Come spesso capita a chi pone domande, egli – come altri – ha patito anche la solitudine del non essere pienamente compreso”.
“In quest’ora della storia violenta, aggressiva, dove a dominare la scena sono i punti esclamativi, don Marcello ci ha offerto la stupenda lezione di una fede inquieta, che si fa ascolto, grembo accogliente per ogni storia e ogni volto, senza giudizio e senza condanna”.
Tra cooperazione e modernità
Figlio della terra di don Lorenzo Guetti, padre della cooperazione trentina, “don Marcello – ha rimarcato Tisi – ne ha raccolto lo spirito e lo ha rilanciato, indicando ancora oggi – attraverso i suoi scritti – una via per vivere una cooperazione autentica e solidale”.
L’Avvento e la dimora della tenerezza
Salutare don Marcello nel tempo dell’Avvento assume per don Lauro un valore altamente simbolico: “A Dio, alla sua tenerezza, ha dedicato l’intera sua vita, mostrando concretamente come l’umano trovi nell’esperienza credente il suo compimento e la sua pienezza. In questa tenerezza, ora, don Marcello ha trovato dimora.
Nella foto Zotta il funerale di don Farina a San Carlo (Tn).




