STORIA DELL’ARCHIVIO

Dall’Archivio di Curia all’Archivio Diocesano Tridentino

Prima del 1993 si aveva in diocesi di Trento l’Archivio della Curia arcivescovile, costituito essenzialmente dagli atti prodotti o ricevuti dai vescovi e dagli uffici di Curia e la cui documentazione si intrecciava ampiamente con quella del principato vescovile di Trento, dalla sua istituzione nel 1027 alla sua soppressione avvenuta nel 1803.

Furono del resto interessi politici e amministrativi più che pastorali del principe vescovo a dar vita a quell’archivio in nuce che è il Codex Wangianus, ordinato da Federico di Wanga (1207-1218) per raccogliere le testimonianze scritte circa le entrate del principato ed ovviare così ad ogni malinteso in questo settore. Tale codice è anche la più importante raccolta di documenti trentini dei secoli XII e XIII. Analoghi i motivi che spinsero, nel secolo XVI, il cardinale Bernardo Clesio (1514-1539) a far riavere alla diocesi le “scritture” che il vescovo Giorgio di Lichtenstein (1390-1419) aveva trasportato in Moravia e altre che si trovavano a Innsbruck nonché, come dice il Bonelli, a far “rivedere i protocolli delli notari, gli archivi delli vassalli della Mensa, per cavare dagli originali copie autentiche delle scritture che concernevano le ragioni della Chiesa”. Tutto questo egli ordinò di “registrare in un libro, distintamente secondo alle rubriche, et riportare parte in una stanza assai sicura dal fuogo, compartite nelli propri cassoni separatamente, parte nella Cancelleria, congiunte insieme in grandi volumi”. Tale provvidenziale opera del Clesio è testimoniata dalla presenza nell’Archivio Diocesano del Codice Clesiano in 11 volumi, dai Libri delle Investiture e dagli atti di visita, raccolti questi ultimi in un unico volume che costituisce il primo della serie degli Atti Visitali. Il Bonelli vede giustamente nel cardinale Clesio il fondatore dell’Archivio vescovile, anche se gli atti da lui raccolti a scopo puramente amministrativo e di governo, sono del tutto insufficienti a far luce sulla vita e sull’attività della chiesa tridentina nel tempo che precedette il Concilio.

Nei secoli XVII e XVIII l’archivio di Curia si arricchisce di altre serie di documenti – accanto agli atti visitali ed alle investiture le cui serie continuano – che testimoniano, in maniera magari un po’ disorganica, l’attività di alcuni uffici che affiancano il vescovo nel governo della diocesi: il Vicariatus in Spiritualibus, il tribunale civile e criminale. Di qui, ad esempio, le serie di Atti Civili, Atti Criminali, Atti Patrimoniali e Beneficiali. Un notevolissimo impulso allo sviluppo dell’archivio viene dato nel 1778 dal vescovo Pietro Vigilio Thun (1776-1800), il quale non soltanto impone, sotto pena di scomunica, la consegna dei documenti spettanti all’Archivio ecclesiastico, ma ordina pure che si seguano delle regole precise nella conservazione e nella sistemazione degli atti prodotti o ricevuti dalla Cancelleria. Hanno così origine nuove serie di documenti che, nella loro formazione e sistemazione in fascicoli, tengono conto di un ancora embrionale ma valido titolario. Datano già dal 1777 il Libro A (1777-1807, otto volumi) con la trascrizione di lettere, pubbliche e private, e di attestati; il Libro B (1777-1912, 247 volumi e 544 buste) con una raccolta cronologica di atti e corrispondenze protocollati come “ecclesiastici”; il Libro C (1777-1824, due volumi) con trascrizione di documenti riguardanti varie concessioni; il Libro D (1777-1812) con l’annotazione di facoltà e patenti concesse a enti o persone private; il Rapulario (1777-1821, 45 volumi) con le registrazioni cronologiche della corrispondenza, dei suoi contenuti e dei suoi vari rimandi.

Secondo la testimonianza scritta del vescovo beato Nepomuceno Tschiderer (1834-1860), nel 1803 l’archivista governativo di Innsbruck Gassler, ebbe l’incarico di esaminare l’archivio di Curia e l’archivio capitolare e, “fatte porre in casse tutti gli scritti e i documenti assieme a tre volumi di registri esistenti in archivio nostro li spedì ad Innsbruck, senza restituir più nulla dell’intera raccolta, talché da quel tempo i vescovi di Trento non hanno più archivio, né sanno più dar notizia di molti documenti e scritti un tempo depositativi”. Soltanto dopo la I Guerra mondiale parte di tali documenti venne restituita dall’Austria all’Archivio di Stato di Trento, dove si trova tuttora. Durante l’episcopato di Francesco Saverio Luschin (1823-1834), predecessore dello Tschiderer, l’Archivio si era tuttavia arricchito di nuove serie di documenti che riguardano le scuole, gli atti strettamente amministrativi distinti da quelli ecclesiastici, le dispense, le copie dei registri anagrafici delle parrocchie e, cosa importante, il protocollo e i rispettivi indici.

Un ultimo sfregio all’Archivio, dopo i molti dovuti anche ai numerosi trasferimenti subiti durante i secoli XIX e XX, venne inferto con la bolla Quo aptius del 1964, con la quale Paolo VI concedeva alla diocesi di Bolzano-Bressanone – secondo un anacronistico principio archivistico di pertinenza – di poter togliere dall’archivio della Curia di Trento e collocare nel proprio i documenti riguardanti le parrocchie e le persone trasferite sotto la sua giurisdizione.

Nel 1990 l’Archivio della Curia di Trento ha trovato nel palazzo vescovile una sede dignitosa e sicura al piano terra e con il decreto n. 128/93/E del 10 febbraio 1993, l’Arcivescovo Giovanni Maria Sartori ha costituito nell’Arcidiocesi di Trento l’Archivio Diocesano Tridentino, formato dall’insieme della documentazione e degli scritti dell’Archivio della Curia arcivescovile, l’Archivio del Capitolo della Cattedrale e degli enti ecclesiastici dipendenti dall’autorità diocesana. Il giorno 8 dicembre 2015, con l’inaugurazione del nuovo Polo Culturale Diocesano Vigilianum, l’Archivio Diocesano Tridentino, ha aperto al pubblico i nuovi spazi di studio e i depositi nella sua sede definitiva in via Endrici 14 e per la prima volta dal 1225 l’Archivio non ha sede nelle dimora vescovile ma si unisce alle realtà culturali diocesane.